Arthurdendyus triangulatus (Dendy, 1894)
La specie misura fino a 10 mm di larghezza e 20 cm di lunghezza, variabile in base alla sua estensione. Il corpo piatto di colore marrone si assottiglia verso l’estremità anteriore e presenta una frangia di colore più chiaro a contorno. La frangia e la parte inferiore sono di colore beige punteggiate di grigio. La testa presenta una sfumatura rosa con una riga di piccole macchie nere su ciascun lato. La specie è coperta di muco ed è appiccicosa al tatto. Le capsule ovigere sono di colore nero brillante e di forma ovoidale, di 4-8 mm di diametro.
Turbellaria
Tricladida
Geoplanidae
Artioposthia triangulata, Geoplana triangulata
New Zealand flatworm
La specie è originaria della Nuova Zelanda (Isola del Sud).
Attualmente la specie risulta introdotta in Irlanda, Gran Bretagna e Isole Faroe.
La prima segnalazione in Europa risale al 1963 a Belfast (Irlanda del Nord, UK). Attualmente risulta introdotta in Irlanda, Gran Bretagna e Isole Faroe. L’Europa continentale potrebbe essere a rischio di introduzione.
La specie in Italia non è presente.
La specie solitamente si trova sotto detriti sulla superficie del suolo, soprattutto in giardini o lungo i margini dei terreni agricoli. Si ciba prevalentemente di lombrichi e occasionalmente di lumache. La specie è ermafrodita e sia maschi che femmine sono in grado di produrre una capsula ovigera, che contiene in media 6 giovani, ogni due settimane circa. Non è in grado di scavare e si muove utilizzando le gallerie già scavate dai lombrichi. Durante i periodi con temperature più elevate la specie si sposta più profondamente nel terreno a causa dell’elevata suscettibilità all’essiccazione. Temperature superiori ai 20°C e minori di -2°C sono letali per la specie, al contrario l’optimum climatico è tra i 12 e i 15°C.
Il principale vettore di introduzione della specie è il commercio di piante da orticoltura e giardino, e attraverso lo spostamento di suolo, letame o altri prodotti agricoli. In secondo luogo, la specie potrebbe disperdersi attraverso acque di inondazione che permettono il trasporto delle capsule ovigere o degli adulti stessi. Infine, il trasporto degli adulti ad opera di altri animali ai quali rimangono adesi non è da escludersi.
L’ irritazione della pelle a contatto con il muco può essere un potenziale impatto per la salute umana. L’impatto economico della specie avviene tramite la riduzione dell’attività dei lombrichi, principale preda, che di conseguenza limita la crescita delle piante, soprattutto nei pascoli erbosi. Infine, dove la specie è presente gli scambi non controllati di piante e materiali da giardinaggio dovrebbero essere ridotti al minimo per evitare di favorirne la diffusione.
La specie preda altre specie di lombrichi, la cui riduzione porta alla riduzione della fertilità del suolo e di conseguenza produttività delle piante. La diminuzione dei lombrichi porta a sua volta effetti negativi su altre specie di cui sono preda: tassi, ricci, talpe, uccelli e invertebrati.
La riduzione delle popolazioni di lombrichi può portare al cambiamento della struttura del suolo e dell’idrologia. Inoltre, la specie può sopravvivere per oltre un anno senza cibo, permanendo nelle aree dove le popolazioni di lombrichi risultano fortemente ridotte e impedendone il ritorno. Considerando complessivamente gli impatti, la specie influenza la struttura e composizione degli habitat, altera le comunità e contribuisce alla riduzione della biodiversità.
Attualmente non esistono protocolli specifici per prevenire la diffusione di questa specie, se non attuare controlli sui prodotti agricoli, materiali per orticoltura o piante provenienti dalle aree di presenza. Sono stati testati vari metodi per il controllo e rimozione (tra i quali: trattamento delle piante con acqua calda, shelter traps, barriere repellenti per lumache, controllo biologico e chimico). Possono essere attuate azioni di monitoraggio e sorveglianza dei suoli attraverso ispezione dei detriti e materiale legnoso a terra in combinazione all’utilizzo di shelter traps. I metodi qui citati non hanno tuttavia portato alla definizione di tecniche efficaci di controllo ed eradicazione della specie.
Scheda realizzata da: ISPRA con il supporto dell'Università degli Studi dell’Insubria