Il cane procione, o cane viverrino, presenta le dimensioni di una volpe ma con zampe e coda decisamente più corte. La folta pelliccia ed il grasso sottocutaneo, che accumula nel periodo precedente al letargo, gli conferiscono un aspetto molto più massiccio rispetto alla realtà. Il peso arriva a 6-13 kg, nel tardo autunno, e 4-6 kg in estate. La lunghezza del corpo è di circa 50-70 cm, la coda può superare i 20 cm. Il mantello dorsalmente varia tra grigio-giallastro e ocra. Caratteristica è la mascherina facciale scura, che copre gli occhi e le guance. Le orecchie sono piccole e arrotondate. Il ventre e le zampe sono nere. Per l’aspetto complessivo il cane procione può essere confuso con il tasso e soprattutto con il procione, da cui il nome comune.
La distribuzione originaria del cane procione va dalla Siberia orientale (bacini dei fiumi Ussuri ed Amur), fino a Cina e Vietnam settentrionale, Corea, Indocina nord-orientale e Giappone (Isole di Honshu, Shikoku e Kyushu).
Le prime segnalazioni in Italia (non verificate) risalgono agli anni '80. Dalle due direttrici di espansione ipotizzate (Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia-Giulia), il cane procione con individui isolati, probabilmente sub adulti, è stato periodicamente ma sporadicamente segnalato negli ultimi venticinque anni dalle aree alpine fino all’Oltrepò pavese.
Il cane procione è un carnivoro generalista, con un’ecologia trofica abbastanza simile a quella del tasso e della volpe. Si basa sulle risorse localmente più abbondanti, preferendo frutta e vegetali in estate e selezionando positivamente le specie di anfibi nelle aree umide. In inverno va in ibernazione (particolarità che lo distingue dagli altri canidi) e ciò influenza la sua distribuzione verso nord, in quanto con estati brevi i giovani, in particolare, non riescono ad accumulare abbastanza grassi per superare l’inverno. La specie vive in sistemi di tane ipogee per lo più scavati dal tasso, spesso in coabitazione con la volpe, ma è anche capace di scavare attivamente, costruendo tane proprie.
È legato ad ambienti umidi, paludi ed alvei fluviali, ma si può spingere fino alle maggiori quote localmente disponibili, frequentando anche ambienti forestali o mosaici di aree aperte e boscate.
La specie è stata introdotta intenzionalmente per creare popolazioni selvatiche da sfruttare per la pelliccia. Da qui il Cane procione si è poi diffuso spontaneamente nella parte centro settentrionale del continente grazie ad una discreta capacità di colonizzazione. In Italia è arrivato per espansione spontanea della popolazione slovena e dalla popolazione austriaca. In alcune aree la specie si è probabilmente insediata a partire da soggetti scappati da allevamenti.
Il Cane procione può dare problemi sanitari, in quanto è noto come possa costituire un serbatoio della rabbia silvestre, tra l’altro indipendentemente dalla volpe come accertato in diverse zone del subcontinente europeo (Russia, Bielorussia, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Germania, Finlandia). Oltre a ciò esso veicola la trichinosi, la rogna sarcoptica e l’echinococcosi.
Per la sua dieta opportunista il cane procione può essere competitore di altri meso carnivori, in particolare del tasso e della volpe, ma studi a riguardo non hanno confermato questa ipotesi, per un differente uso dell’habitat da parte dei diversi animali. La specie può avere un impatto nelle aree palustri sulle comunità di anfibi (può portare all’estinzione di popolazioni isolate di anuri) e sulle colonie di uccelli acquatici per predazione su adulti, piccoli e uova. Segnalati anche impatti su tetraonidi.
Nessun impatto sulle comunità vegetali, ma possibili incidenze sulle comunità animali delle zone umide, in particolare quando esse sono isolate o di piccole dimensioni.
La specie è prelevata tutto l’anno in gran parte dell’area europea di presenza in quanto considerata dannosa e con l’intento di evitarne la stabilizzazione o la diffusione ulteriore. Il controllo del cane procione viene di norma praticato attraverso il prelievo con arma da fuoco e l’ausilio di cani specializzati. Anche il trappolaggio è una tecnica utilizzata per questa specie. Va sottolineato come, una volta insediata stabilmente, sia praticamente impossibile eradicare la specie. Non si conoscono tecniche efficaci di prevenzione degli impatti. Inoltre, trattandosi di una specie molto elusiva, il suo contenimento, soprattutto a basse densità, è molto difficile.