Pianta erbacea di taglia imponente: alta fino a 5 m, con fusto cavo e robusto, irsuto e con macchie violacee. Ha foglie lunghe fino a 3 m, profondamente divise e con margine a denti acuminati, disposte in rosetta basale. Quando fiorisce, tra giugno e agosto, produce maestose ombrelle di fiori bianchi, ampie 50-80 cm. I frutti, appiattiti e di forma ellittica, alati ai margini, vengono prodotti in numero elevatissimo. Dopo la disseminazione (a circa 3-5 anni di vita), la pianta muore.
Originaria del Caucaso.
Presente con popolamenti localizzati in Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto-Adige, Veneto ed Emilia Romagna.
Mappa di distribuzione (su celle 10x10kmq) aggiornata a giugno 2019 per la rendicontazione ai sensi dell’art.24 del Reg. UE 1143/14.
H. mantegazzianum si riproduce solo da seme. Ogni pianta produce fino a 50.000 semi dispersi dal vento, dall’acqua e dalle attività umane. I semi germinano a inizio primavera, stimolati dalle basse temperature invernali. Dopo la germinazione, durante i primi 3-4 anni di vita, si sviluppa una robusta radice a fittone e un’ampia rosetta di foglie. Dopo aver accumulato sufficienti riserve nella radice, la pianta fiorisce nell’estate del quarto/quinto anno e muore dopo aver rilasciato i semi. La fioritura può risultare ritardata di diversi anni, se la pianta è sottoposta a condizioni sfavorevoli come pascolamento, sfalcio, carenza di nutrienti e di acqua. La distribuzione della specie in Europa è legata a climi temperati con inverni freddi e assenza di aridità estiva. Preferisce suoli ricchi e umidi. Tollera condizioni di parziale ombreggiamento.
Nell’areale nativo cresce in zone montuose fino a 2200 m, ai margini dei boschi, nelle radure, spesso lungo i corsi d’acqua. Nell’areale d’invasione forma densi popolamenti in ambienti disturbati dall’uomo con vegetazione rada o assente, come margini di fiumi, bordi di strade e ferrovie, scarpate, aree di discarica o di cantiere. In ambiente rurale, l’abbandono dei coltivi e l’assenza di una gestione regolare delle praterie favoriscono l’insediamento della specie.
E’ stata introdotta ripetutamente in Europa a partire dalla prima metà del XIX secolo, per essere coltivata come ornamentale negli orti botanici e nei giardini, grazie al portamento maestoso che assume a fioritura. La resistenza alle basse temperature ne ha favorito la coltivazione nei giardini alpini. E’ sfuggita a coltura sia per disseminazione spontanea, soprattutto lungo i corsi d’acqua, sia per attività umane, come l’abbandono di rifiuti verdi e lo spostamento di volumi di suolo, che hanno accidentalmente diffuso la specie anche su lunghe distanze. La diffusione deliberata da parte dell’uomo come pianta ornamentale è una pratica ancora incontrollata a causa del commercio di semi via Internet.
H. mantegazzianum costituisce un pericolo per la salute dell’uomo, spesso ignorato o sottovalutato. Infatti produce composti fototossici che, in seguito a contatto con la pelle ed esposizione ai raggi solari, provocano dermatiti con danni talvolta permanenti. Poiché i sintomi si manifestano 24-48 ore dopo l’esposizione, spesso è difficile risalire alla causa e formulare la diagnosi corretta.
Dove può formare densi popolamenti monospecifici, causa una riduzione fino al 50-60% della ricchezza e della densità delle piante native. L’impatto maggiore viene esercitato lungo i fiumi, dove può sostituire quasi completamente la vegetazione naturale.
Densi popolamenti di H. mantegazzianum alterano le caratteristiche chimiche, fisiche e biotiche del suolo, con eutrofizzazione, aumento del pH e della conducibilità elettrica e con alterazione della composizione delle comunità di funghi e batteri. Inoltre, il terreno denudato durante l’inverno per la morte delle parti epigee della pianta è maggiormente soggetto ad erosione.
La principale forma di gestione su cui agire è la prevenzione (divieto di vendita, trasporto e possesso), ma poiché in Italia la specie è presente con popolamenti molto localizzati è realisticamente perseguibile l’obiettivo dell’eradicazione. Gli interventi di tipo meccanico sono efficaci: il pascolamento ovino e l’estirpazione manuale con l’uso di forche o con il taglio della radice sono stati sperimentati rispettivamente in N-Europa e in Valle d’Aosta e hanno permesso di eliminare in 2-5 anni i popolamenti trattati. L’applicazione di diserbanti è efficace se condotta ad inizio stagione, ma da evitare in aree sensibili.